Il 1967 può essere considerato un punto di svolta nel campo della epidemiologia sociale. Prese il via in quell’anno infatti lo studio Whitehall I, rivolto a 18.000 dipendenti della pubblica amministrazione britannica seguiti per alcuni decenni nei loro esiti di salute. Se un tempo si pensava che le patologie cardiovascolari fossero prevalenti tra le persone con maggiori responsabilità, grazie ai risultati di Marmot è stato possibile mettere in luce una realtà più complessa e differente.
I risultati dello studio, mostrarono una impressionante corrispondenza fra la posizione nella gerarchia del lavoro e la mortalità. Contrariamente a quanto si pensava, non muoiono prima i manager per eccesso di stress. Muoiono prima i fattorini, appena dopo le segretarie, appena dopo i quadri intermedi, seguiti dai direttori, su su fino ai grandi capi. Il tasso di mortalità per infarto e altre malattie di chi sta alla base della scala è quattro volte quello di chi sta in cima. Una decina di anni la differenza di aspettativa di vita.
Whitehall II ha spostato progressivamente l’attenzione dal solo ambito lavorativo a tutta la vita sociale. Lo status e le disuguaglianze, infatti, risentono non solo della posizione lavorativa e del reddito, ma anche dell’educazione (forse l’indicatore più preciso dei determinanti sociali di salute), dell’ambiente di vita, del contesto delle relazioni sociali e di molti altri fattori di contesto.